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Bolognetti: con Marco Pannella per la vita del diritto e il diritto alla vita
font-family:"Verdana","sans-serif"">Diritto, Giustizia, Amnistia per la Repubblica, Libertà
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font-family:"Verdana","sans-serif"">Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali italiani e Segretario di Radicali Lucani(in sciopero della fame dalle ore 23.59 di mercoledì 7 maggio a sostegno degli obiettivi del Satyagraha di Marco Pannella)
Mentre l’orologio scandisce le ore e i minuti che ci separano dal 28 maggio, termine ultimo stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, entro il quale il nostro Paese deve porre fine alla tortura nei confronti dei detenuti praticata nelle nostre carceri, il Presidente del Consiglio e il Ministro della Giustizia, il Parlamento tutto nulla hanno fatto per interrompere la flagranza di reato in atto contro i Diritti Umani e la Costituzione.
Il nostro Stato sul fronte giustizia-carceri continua ad essere, sul piano tecnico giuridico, uno Stato criminale, che viola le Convenzioni a tutela dei diritti dell’uomo e il dettato costituzionale.
Eppure, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rivolgendosi alle Camere l’8 ottobre scorso, ha con chiarezza delineato i termini della questione: l’Italia ha l’obbligo di sanare la ferita inferta allo Stato di diritto.
Obbligo, è questa la parola chiave evocata più e più volte da Marco Pannella.
Nel rivolgersi alle Camere, il Presidente Napolitano aveva tra l’altro scritto: “Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia".
Con il suo straordinario messaggio il Presidente della Repubblica ha onorato il suo ruolo di garante della Diritto e della Costituzione, non così si può dire del Presidente del Consiglio in carica e del Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ad entrambi non è ancora chiaro cosa intendesse il Presidente quando ha parlato di “obbligo” e il riflesso che la disastrosa situazione in cui versa l’amministrazione della giustizia ha sul Paese.
Ad entrambi non è sufficientemente chiaro che la strage di legalità si è inevitabilmente tradotta in strage di popoli e di vite.
Nel 2003, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ebbe ad affermare che “la durata eccessiva del processo è un nemico mortale della giustizia”.
Ad 11 anni di distanza da quella dichiarazione, e con il conforto(si fa per dire) delle innumerevoli condanne piovute sul nostro Paese per la continuata, ininterrotta, reiterata violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, possiamo con certezza affermare che la macchina della giustizia nella nostra Italia versa in uno stato comatoso e che è indispensabile e non più rinviabile un provvedimento di Amnistia che consenta di resettare il sistema.
Con Marco Pannella, con Rita Bernardini, con i miei compagni radicali che stanno animando un lungo dialogo nonviolento per cercare di far comprendere al Palazzo e ai Palazzi, alle massime cariche della Repubblica e al Parlamento tutto, che lottiamo per far sì che il nostro Stato rispetti la sua propria legalità, ho più volte provato ad illustrare attraverso numeri, dati, cifre, le ragioni che ci hanno spinto a proporre un provvedimento di Amnistia per la Repubblica.
Ragioni che ritrovo nell’intervento pronunciato nel 2012 in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario dall’allora Presidente della Corte d’Appello di Potenza Pio Ferrone: “la giustizia ritardata è una giustizia negata, perché la giustizia che arriva tardi non serve a niente, anzi penalizza gli innocenti e chi ha ragione e premia i colpevoli e chi ha torto”.
Sono troppe le vite spezzate da una amministrazione della giustizia al collasso che una amnistia la produce già: la prescrizione.
Quanti sono gli imputati e le vittime che non riceveranno giustizia?
I dieci milioni di procedimenti arretrati tra penale e civile rappresentano una zavorra che ci sta facendo affondare, mentre c’è chi ciurla nel manico, chi non comprende i termini della questione e, verrebbe da dire, chi si esercita nel gioco delle tre carte.
Tra poco più di due settimane saremo messi di fronte all’evidenza di un Paese che nonostante la cosiddetta “Sentenza Torreggiani” continua a violare l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, con carceri assurte, per dirla con Marco Pannella, a luoghi di tortura senza torturatori.
Nei giorni scorsi la Segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini e l’avvocato Deborah Cianfanelli, proseguendo in una operazione verità tesa a rendere manifeste le bugie diffuse sulla situazione delle nostre patrie galere, hanno inviato una lettera al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Nella missiva i due esponenti Radicali sottolineano come “la situazione nelle prigioni italiane non sia cambiata nell'ultimo anno", e "che non esiste alcuna prospettiva realistica che la questione del sovraffollamento possa essere risolta entro il 28 maggio prossimo". La “Società italiana di medicina penitenziaria”, in un agghiacciante dossier, racconta che “
font-family:"Verdana","sans-serif";mso-fareast-font-family:"Times New Roman";
color:#222222;mso-fareast-language:IT">in cella contraggono malattie il 60-80% dei detenuti
mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-bidi-font-family:Arial;
color:#222222;mso-fareast-language:IT">”.
font-family:"Verdana","sans-serif"">Luoghi tortura le nostre carceri e luoghi dove si perde la possibilità di rendere giustizia i nostri tribunali.
Sempre il Presidente Ferrone, nella sopra citata relazione del 2012, affermava: “Sono ben noti i problemi strutturali di cui soffre l’Italia nell’organizzazione della giustizia e per tali ragioni, a partire dal 10 dicembre 1982, nel settore penale e dal 25 giugno 1987 nel settore civile, sono state emesse numerose sentenze di constatazione della violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[…]Invero, al progressivo aumentare dei ricorsi da parte dei cittadini italiani che lamentavano l’eccessiva durata dei processi, ha fatto seguito il più alto numero di condanne inflitte a uno Stato contraente la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”.
Marco Pannella, e noi con lui, sta lottando per far sì che le sistematiche violazioni dei Diritti Umani vengano interrotte attraverso l’unica strada oggi praticabile: un provvedimento di Amnistia e Indulto.
L’Amnistia prevista dall’art. 79 della Costituzione, che non è solo atto di clemenza, ma soprattutto strumento che nella situazione data ha valore di riforma strutturale.
I cittadini italiani dovrebbero essere messi nella condizione di poter conoscere il perché della proposta radicale. Sono certo che comprenderebbero e si riconoscerebbero.
La questione giustizia è e resta una delle più grandi questioni sociali irrisolte del nostro Bel Paese e le nostre carceri rappresentano un insulto alla civiltà giuridica del Paese che dovrebbe essere la culla del Diritto.
Il premio Nobel Gunnar Myrdal affermava che quando la violazione della legalità da fenomeno marginale diventa l’ “in sé” del sistema, la struttura dello Stato di diritto ne resta sconvolta.
Noi siamo un Paese in cui non c’è Stato di diritto.
Chiudo dicendo che mi auguro che il renziano Presidente della Giunta regionale lucana, Marcello Pittella, e l’intero Consiglio regionale della Basilicata si esprimano a sostegno del Satyagraha di Marco Pannella e dell’appello “Abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni”, promosso dal Prntt. E’ il minimo che ci si possa aspettare da quella Regione Basilicata che solo due anni fa ha inviato il proprio Gonfalone alla “II Marcia per la Giustizia, l’Amnistia e la Libertà”.
Nessuno può, pilatescamente e opportunisticamente, non occuparsi delle questioni che stiamo tentando di porre all’ordine del giorno dell’agenda politica del Paese.
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Il ruolo di Ad e quello di Commissario vanno separati. Pisapia si assuma la responsabilità, oppure si individui un altro nome
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